Servizi educativi forniti a fini commerciali non sempre esenti IVA
Dott. Alessio Pistone | 29/11/2013
La Corte di Giustizia, con la sentenza del 28 novembre 2013, causa C-319/12, stabilisce che gli artt. 132, paragrafo 1, lett. i), 133 e 134 della direttiva 2006/112/CE non impediscono che i servizi educativi forniti a fini commerciali da organismi non pubblici siano esenti da IVA.
Tuttavia, l’art. 132, paragrafo 1, lett. i) di tale direttiva non consente un’esenzione generalizzata, ossia al di fuori delle finalità perseguite da organismi non pubblici che forniscono tali prestazioni.
Al riguardo, occorre ricordare che la ratio della disposizione è facilitare l’accesso a tali prestazioni evitando l’aumento dei costi che si verificherebbe nel caso del loro assoggettamento all’IVA (si veda sentenza del 20 giugno 2002, causa C 287/00).
In tal senso, ricordano i Giudici, la commercialità di un’attività non esclude automaticamente il carattere di interesse pubblico (sentenze del 3 aprile 2003, causa C 144/00, e del 26 maggio 2005, causa C 498/03).
Ne discende che, allorquando il legislatore comunitario non ha esplicitamente subordinato il beneficio delle esenzioni in parola alla mancanza di uno scopo di lucro, il perseguimento di detto scopo non può escludere il beneficio.
La controversia prende origine da una società di diritto polacco, non iscritta nel registro delle scuole e degli istituti privati, che organizza azioni di formazione e conferenze specializzate in vari settori di istruzione e formazione (es. fiscalità e contabilità, ivi compreso lo sviluppo di competenze professionali e personali). Tali azioni sono organizzate dalla società nel contesto delle proprie attività economiche “il cui fine consiste nel generare un regolare profitto”.
L’organismo ha chiesto al Ministero delle Finanze “un’interpretazione fiscale scritta concernente il suo diritto di detrarre l’IVA pagata a monte che ha gravato sui beni e sui servizi acquisiti ai fini della prestazione dei suoi servizi di formazione”. La società ha puntualizzato che i suoi servizi di formazione non dovrebbero essere esentati da IVA ma, piuttosto, dovrebbero esservi assoggettati.
Con riferimento alla detrazione, per la Corte Ue un soggetto passivo non può comunque invocare l’applicazione dell’art. 168 della direttiva 2006/112 (o della corrispondente disposizione nazionale che lo traspone). In particolare, non trova “spazio” il diritto a detrazione IVA a monte se, in ragione di un’esenzione prevista dal diritto nazionale in violazione dell’art. 132, paragrafo 1, lett. i), i servizi educativi forniti a valle non sono assoggettati all’imposta (sentenze del 6 aprile 1995, causa C 4/94 e del 26 settembre 1996, causa C 302/93).
Tuttavia, lo stesso soggetto può sollecitare l’incompatibilità della suddetta esenzione con il citato art. 132, paragrafo 1, lett. i) della direttiva 2006/112/CE, di modo che quest’ultima non trovi applicazione quando, anche rispettando il potere discrezionale “accordato dalla disposizione in parola agli Stati membri”, lo stesso soggetto passivo non può oggettivamente “considerarsi come un organismo avente finalità simili a quelle di enti di diritto pubblico aventi uno scopo di istruzione”.
Come rilevato dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni, infatti, è il giudice nazionale a dover verificare se l’esenzione delle prestazioni fornite da un organismo come quello in controversia ecceda i limiti del potere discrezionale lasciato al legislatore.
Se il giudice del rinvio dovesse constatare che le finalità perseguite da un tale organismo non possono considerarsi comparabili a quelle perseguite da un organismo di diritto pubblico, quest’ultimo allora potrebbe avvalersi del fatto che il diritto nazionale esenta, in violazione dell’art. 132, paragrafo 1, lett. i), i servizi di insegnamento e di formazione professionali dall’IVA. In tal caso, i servizi sarebbero assoggettati all’IVA e l’organismo potrebbe allora far valere, entro questi limiti, il diritto a detrazione dell’imposta assolta a monte.