Azione sociale di responsabilità contro gli amministratori non dal singolo socio

| 27/01/2014

Nelle società di persone, la legittimazione a far valere giudizialmente il diritto al risarcimento dei danni cagionati dagli amministratori al patrimonio sociale spetta esclusivamente alla società, in quanto titolare del diritto dedotto in giudizio ed ente munito di autonoma e distinta soggettività rispetto ai soci.
Da tale assunto deriva, da un lato, che il singolo socio possa agire contro gli amministratori inadempienti, proponendo l’azione che, in base alle norme generali sul risarcimento da fatto illecito (artt. 2043 ss. c.c. ) e in applicazione analogica delle norme dettate in tema di società di capitali (artt. 2395 e 2476 c.c. ), gli viene individualmente concessa anche nell’ambito delle società personali, solo qualora dimostri di aver patito dall’operazione censurata un danno diretto al proprio patrimonio, distinto da quello patito dalla società e qualificabile come danno da responsabilità extracontrattuale; dall’altro, che il singolo socio – come stabilito dal Tribunale di Torino in una sentenza del 17 giugno 2013 – non possa, in nessun caso, esercitare l’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2260 c.c., in quanto diretta, appunto, alla reintegrazione del patrimonio sociale. E ciò anche qualora egli agisca sì in nome proprio ma per conto della società, secondo uno schema di legittimazione surrogatoria, chiedendo agli amministratori accusati di “mala gestio” il risarcimento dei danni cagionati al patrimonio dell’ente, a favore del quale risulterebbero destinati a riverberarsi tutti i risultati positivi dell’iniziativa processuale assunta.
Com’è noto, anche nelle società di persone, accanto all’azione sociale di responsabilità disciplinata dall’art. 2260 c.c., sussiste un’azione individuale di responsabilità, mediante la quale ciascun socio può pretendere il ristoro del pregiudizio direttamente subito in conseguenza del comportamento doloso o colposo tenuto dagli amministratori. La giurisprudenza si è occupata di individuare i presupposti di quest’ultima azione, annoverando tra gli stessi, oltre agli altri presupposti tipici dell’ambito della responsabilità extracontrattuale, quello dell’“incidenza diretta del danno”: per l’ammissibilità dell’azione individuale, è cioè necessario che i danni fatti valere non siano solo il riflesso di quelli eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati al socio come conseguenza immediata di atti degli amministratori (si veda “Azione di responsabilità del socio di snc solo con incidenza diretta del danno” del 20 gennaio 2014).
Se ciò è pacifico, in sede giurisprudenziale risulta maggiormente controversa la possibilità di riconoscere al singolo socio, che non abbia il potere di rappresentanza della società, la facoltà di agire in sostituzione di quest’ultima, con l’azione di cui all’art. 2260 c.c., al fine di ottenere la reintegrazione non del proprio patrimonio, ma del patrimonio sociale, danneggiato dall’inadempimento, da parte degli amministratori, dei doveri fissati dalla legge o dall’atto costitutivo. Un primo orientamento lo nega, riconoscendo la legittimazione ad esercitare la suddetta azione esclusivamente alla società, in persona del suo legale rappresentante (Trib. Salerno 12 gennaio 2011, Trib. Napoli 14 marzo 1996). Un altro filone ritiene, invece, che anche il singolo socio privo del potere di rappresentanza abbia la legittimazione attiva a proporre l’azione sociale, purché agisca dichiaratamente a tutela dell’integrità patrimoniale della società e non a tutela di un interesse personale (Trib. Novara 21 aprile 2010, Trib. Napoli 3 marzo 2008).
La sentenza del Tribunale di Torino sopra richiamata aderisce al primo indirizzo interpretativo. Nel caso di specie, il socio accomandante di una sas – addebitando al socio accomandatario ed amministratore la violazione degli obblighi su di lui incombenti, stante la vendita dell’unico cespite della società per un corrispettivo di molto inferiore al suo valore effettivo, con conseguente pregiudizio patrimoniale per la società medesima – si era rivolto al giudice dichiarando di agire non “uti singulus” per il risarcimento di un danno a lui direttamente procurato (nel qual caso avrebbe avuto a disposizione l’azione individuale di responsabilità), bensì di agire “uti socius”, azionando in nome proprio l’interesse della società alla reintegrazione del patrimonio sociale, leso dai suddetti atti di cattiva gestione. L’accomandante invocava la sussistenza nell’ordinamento di un “generale potere sostitutivo” del socio, ritenuto titolare di una legittimazione straordinaria, riconducibile alla figura della sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c., fattispecie nella quale, appunto, si fa valere in nome proprio un diritto altrui. E ciò, a maggior ragione, dopo che, in tema di srl, il legislatore ha espressamente previsto, all’art. 2476, comma 3 c.c., che l’azione “sociale” di responsabilità contro gli amministratori possa essere promossa, oltre che dalla società, anche da ciascun socio, indipendentemente dal valore della quota di partecipazione.
Tale impostazione viene, tuttavia, respinta dal giudice torinese, il quale richiama, innanzitutto, il consolidato orientamento che qualifica come contrattuale la responsabilità degli amministratori ex art. 2260 c.c., trattandosi di una responsabilità che trova la sua fonte nel rapporto contrattuale di mandato con la società. È evidente, quindi, che il soggetto legittimato ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori prevista da tale norma sia la società che di tale rapporto è parte. È, infatti, la società di persone – quale ente munito di autonoma soggettività rispetto ai soci e di un proprio patrimonio, sebbene privo di autonomia patrimoniale imperfetta – la creditrice dell’obbligo gestorio inadempiuto e la titolare del diritto al risarcimento del danno procurato al patrimonio sociale.
Ciò posto, la sentenza in commento nega che, al riguardo, possa affermarsi la sussistenza di una legittimazione concorrente del socio. Si sostiene che il citato art. 81 c.p.c. non costituisca affatto l’espressione di un generale potere di sostituzione nell’esercizio di un diritto altrui, ma, al contrario, enunci un principio di tassatività quanto alle ipotesi (si pensi all’azione surrogatoria di cui all’art. 2900 c.c.) in cui detta sostituzione è consentita. Solo un’espressa previsione normativa potrebbe, quindi, consentire al socio di “sostituirsi” alla società nell’esercizio dell’azione di responsabilità ad essa spettante. Una previsione del genere – introdotta dalla riforma del diritto societario per le srl – non è, però, rinvenibile nell’ambito delle società di persone.
Da qui la conclusione che il socio di una società personale, che non sia legale rappresentante, può agire in proprio solo per il ristoro di danni che gli amministratori abbiano procurato al suo patrimonio in via diretta ed immediata, mentre, difettando tale presupposto, non può, neppure in via surrogatoria, esperire l’azione risarcitoria volta ad ottenere la rientegrazione del pregiudizio patrimoniale subito dalla società.