Indagini bancarie sui soci, va provata la correlazione con la società
Dott. Alessio Pistone | 12/02/2014
Le movimentazioni relative ai conti correnti dei soci di una società di capitali a ristretta base sociale non possono essere attribuite automaticamente alla società in assenza di un’evidente e dimostrata correlazione tra le posizioni bancarie dei soggetti oggetto di accertamento. È quanto deciso dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, con la sentenza n. 586/01/13 depositata il 10 dicembre 2013.
In estrema sintesi, è noto che, ai sensi dell’art. 32 del DPR n. 600/1973, previa autorizzazione del Direttore centrale dell’Accertamento dell’Agenzia delle entrate o del Direttore regionale della stessa, ovvero, per la Guardia di Finanza, del Comandante regionale, a banche e ad altri enti finanziari possono essere richiesti dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, compresi i servizi prestati, con i loro clienti.
I dati e gli elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni finanziarie acquisiti sono posti a base di accertamenti e rettifiche se il soggetto sottoposto a controllo non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del proprio reddito imponibile o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Alle stesse condizioni, prelevamenti e versamenti sono considerati ricavi o compensi se il contribuente non ne indica il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.
Nell’ambito del rapporto che intercorre tra la società e i soci, specie se trattasi di società di capitali a ristretta base sociale, l’orientamento della giurisprudenza di Cassazione è univoco: in tema di accertamento, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche i conti intestati ai soci, amministratori o procuratori generali.
È necessario, in ogni caso, che l’Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione dei conti correnti ai soci o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. (Cass. nn. 20199/2010, 15217/2012 e 12625/2012). Compete, dunque, all’Ufficio l’onere di provare e dimostrare, anche con presunzioni, la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati ai soci.
Nel caso posto all’attenzione dei giudici della Provinciale di Roma, l’Amministrazione finanziaria ha rettificato maggiori ricavi in capo ad una srl a ristretta compagine sociale, sulla base dei versamenti e prelevamenti effettuati dai soci sui propri conti correnti personali, senza provare la riferibilità alla società delle operazioni risultanti dai rapporti intestati ai soci.
I giudici di primo grado hanno ritenuto l’operato dell’Ufficio non rispettoso delle regole. Pur riconoscendo la possibilità che anche i conti correnti dei soci possono essere controllati, ritengono che la semplice analisi dei prelievi e dei versamenti rilevati sui rapporti bancari intestati ai soci della ricorrente/società, non giustificati da quest’ultima, doveva trovare riscontro e conforto in prove a carico dell’Ufficio. Questo al fine di dimostrare che le operazioni rilevate sui conti correnti dei soci si riferivano a ricavi non dichiarati dalla società.
Proseguono i giudici di merito: “A conferma dell’onere della prova a carico dell’Ufficio in relazione alle movimentazioni bancarie rilevate dai c/c dei soci la Commissione rileva che tali soci, a differenza della ricorrente, non avevano alcun particolare obbligo di conservare la documentazione di tali operazioni”. Con questa motivazione sono state accolte le doglianze della società (sulla stessa scia si veda C.T. Reg. di Milano n. 92 del 2 agosto 2013).
La decisione va salutata con favore, anche perché giustificare per i soci prelevamenti e versamenti è ardua impresa, non avendo l’obbligo di conservare la documentazione, specie se il controllo si verifica a distanza di anni.
Vale la pena sottolineare che, recentemente, anche la Suprema Corte si è pronunciata su un caso simile a quello trattato dalla C.T. Prov. di Roma. Nell’ordinanza n. 2029 del 30 gennaio 2014, la Cassazione ha confermato che spetta all’Ufficio l’onere di provare la riferibilità delle operazioni rilevate sui conti correnti dei soci al reddito della società. In mancanza di prova, l’Ufficio non può riprendere a tassazione dette operazioni.
Occorre, peraltro, segnalare che la risposta in tema di indagini finanziarie fornita dall’Agenzia delle Entrate a Telefisco 2014, con la quale ha precisato la non operatività della presunzione sui prelevamenti effettuati dai privati, vale anche per i soci persone fisiche non imprenditori, i quali non hanno l’obbligo di tenere le scritture contabili. L’effetto di questa risposta dovrebbe essere quello che i prelevamenti eseguiti sul conto corrente personale non si considerano ricavi evasi riferibili alla società, a meno che l’Ufficio non dimostri il contrario.