Liquidatore a un «bivio» in caso d’incapienza del patrimonio aziendale
Dott. Alessio Pistone | 08/02/2014
Allorché, nel corso della liquidazione della società, emerga la manifesta e irreversibile insufficienza delle attività all’integrale copertura dei debiti sociali, il liquidatore “diligente”, che voglia sottrarsi a eventuali responsabilità, è tenuto a promuovere senza indugio una procedura concorsuale per il soddisfacimento paritetico dei creditori o, comunque, a rispettare, nei pagamenti, compatibilmente con le disponibilità patrimoniali, ordini di priorità e regole di par condicio ex art. 2741 c.c., oppure, ritenendo tale norma inapplicabile in sede di liquidazione societaria, è libero di pagare i creditori man mano che si presentino, indipendentemente dal fatto che si tratti di creditori privilegiati o chirografari, pur sapendo di non poterli soddisfare tutti?
La questione riguarda, in pratica, la responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento di uno o più creditori sociali in caso di incapienza del patrimonio aziendale e, sul punto, la giurisprudenza ha assunto posizioni differenti. Due risalenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. n. 1273/1968 e n. 792/1970), nonché una più recente sentenza del Tribunale di Udine del 26 ottobre 2010, facendo leva sull’inesistenza di una disposizione normativa espressa, si sono pronunciate per l’inapplicabilità, nell’ambito della fase liquidatoria, del principio sancito dall’art. 2741, comma 1 c.c., in base al quale “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di prelazione”.
Si tratta della norma che, da un lato, fissa il principio della par condicio creditorum e, dall’altro, sottrae all’operatività dello stesso i crediti per i quali esistano legittime cause di prelazione, identificate, dal comma 2, nei privilegi, nel pegno e nell’ipoteca. In altri termini, in base a tale disposizione, quando vi sia una pluralità di creditori di un unico debitore – e, cioè, un unico patrimonio a garanzia di più debiti – tutti i creditori hanno pari diritto di soddisfarsi su quest’ultimo, ottenendo il pagamento integrale o quanto meno, in caso di attivo superiore al passivo, un’identica percentuale di soddisfazione delle loro pretese, indipendentemente dal tempo in cui siano sorte.
Ciò, tuttavia, non vale in assoluto, in quanto ai creditori assistiti dalle suddette cause di prelazione (c.d. creditori privilegiati) la legge assicura il pagamento a preferenza degli altri, intendendosi per tali sia i creditori che non possano vantare titoli di prelazione (c.d. creditori chirografari), sia i creditori che, nella gradazione stabilita dal codice civile per regolare il concorso tra più crediti privilegiati, si collochino ad un rango inferiore.
Secondo il filone giurisprudenziale in esame, dunque, stante l’asserita applicabilità del suesposto principio esclusivamente nelle procedure concorsuali e non nell’ambito delle operazioni liquidatorie, il liquidatore non avrebbe l’obbligo di rispettare i dettami di priorità e di “par condicio” dell’art. 2741 c.c., potendo sottoporre indistintamente tutti i creditori, privilegiati e chirografari, al medesimo trattamento e provvedere a pagarli, fino all’esaurimento di quanto sia stato “diligentemente” possibile ricavare della realizzazione dell’attivo, man mano che si presentino ad esigere quando loro dovuto.
Anche qualora vi fosse la prova della violazione delle cause di prelazione fissate dal legislatore – proseguono le pronunce in commento – non potrebbe riconoscersi una responsabilità in capo al liquidatore, ben potendo questi, nell’ampia discrezionalità riconosciutagli dalla legge, fare applicazione del principio “prior in tempore potior in iure”, invece che del principio della “par condicio creditorum”.
In senso opposto si è, invece, espresso l’indirizzo (che sembrerebbe maggioritario) che afferma la necessità del rispetto del principio della parità di trattamento, fatte salve le legittime cause di prelazione – in quanto principio generale sancito dalle norme generali in tema di responsabilità patrimoniale – anche nel corso delle procedure di liquidazione volontaria (Trib. Firenze 7 settembre 1995, Cass. n. 3321/1996, App. Napoli 10 giugno 2009, Trib. Milano 22 dicembre 2010 n. 14632, Trib. Genova 2 aprile 2013 n. 1125).
In pratica, in base a tale differente impostazione, al liquidatore può essere riconosciuta piena libertà nel procedere al pagamento dei debiti sociali soltanto qualora abbia fondata ragione di ritenere che tutti i debiti sociali potranno essere saldati, attingendo ai proventi della liquidazione o ad altre fonti di approvvigionamento finanziario (si pensi, ad esempio, al caso del completamento, da parte dei soci, su richiesta del liquidatore, dei conferimenti ancora dovuti ex art. 2491, comma 1 c.c., o al caso in cui i soci si siano dichiarati disponibili ad effettuare ulteriori esborsi per coprire di tasca propria il passivo in eccesso).
Qualora, invece, si versi in una situazione nella quale manchino le risorse finanziarie per il pieno soddisfacimento del ceto creditorio, non essendovi ulteriori prospettive di monetizzazione dei cespiti aziendali, né apporti esterni, si ritiene che il liquidatore “diligente” – anziché provvedere ugualmente a pagare, in tutto o in parte, senza un criterio percentuale perequativo e a prescindere dai privilegi, i creditori sociali man mano che si presentino, pur sapendo che alcuni rimarranno insoddisfatti – debba promuovere una procedura concorsuale o almeno tentare, rispettando le cause di prelazione, di attuare una ripartizione concorsuale “in forma privata”, mediante un regolamento convenzionale cui i creditori acconsentano.
Il comportamento del liquidatore che, pur essendo a conoscenza dell’irrimediabile squilibrio tra attività e passività, non ricorra ai rimedi concorsuali di cui al RD 267/1942 (la c.d. legge fallimentare), né dia corso ad una gestione liquidativa rispettosa dei diritti di prelazione e della par condicio, operando, al contrario, una liquidazione “a casaccio” (così la citata Trib. Genova 2 aprile 2013 n. 1125), che esaurisca la liquidità della società attraverso il pagamento preferenziale di alcuni creditori a scapito di altri, pur se privilegiati, per il solo fatto di aver provveduto a far valere i loro diritti in un secondo momento, non può che profilarsi come un atto di mala gestio ingiustificato e censurabile. Detto liquidatore andrà, quindi, inevitabilmente incontro, secondo le sentenze appartenenti a questo secondo filone interpretativo, a responsabilità, sia sul piano civilistico che penale.