Responsabile dell’omesso versamento IVA chi amministra a fine dicembre

| 28/01/2014

Risponde di omesso versamento IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000) colui che ricopra la carica di rappresentante legale della società nel momento consumativo della fattispecie, ovvero allo spirare del termine per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta successivo, anche se l’assunzione dell’incarico è precedente di pochi giorni.
A stabilirlo è la Cassazione nella sentenza n. 3636 di ieri.
Tizio, agli inizi di dicembre 2006, acquistava le quote di maggioranza della Alfa srl e ne diveniva amministratore. Sulla società gravava un debito IVA per l’anno 2005 pari a poco più di 50.000 euro, suscettibile di integrare il delitto di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, che, si ricorda, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo (27 dicembre) quando l’IVA non versata sia di ammontare superiore a 50.000 euro (per ciascun periodo d’imposta).
Spirato il termine del 27 dicembre 2006 in assenza del versamento dovuto, nei confronti di Tizio si apriva il processo per la fattispecie penale tributaria, nel corso del quale si difendeva sostenendo di essere stato vittima di un raggiro ordito dai precedenti soci ed amministratori della srl, che non gli avevano rappresentato la reale situazione della società, scoperta la quale aveva deciso di rivendere le quote. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello condannavano Tizio, dal momento che, da un lato, nessuna denuncia di truffa risultava presentata, e, dall’altro, con l’acquisto delle quote lo stesso aveva certamente avuto modo di esaminare il bilancio della società, rilevandone le condizioni. Nel ricorso per Cassazione si lamenta la mancata considerazione, da parte dei giudici di merito, della buona fede di Tizio, con inesistenza del necessario elemento soggettivo, derivante dalla mancata verifica delle scritture contabili. Il ricorso viene respinto.
L’acquisto di quote di società e la conseguente assunzione della carica di amministratore – precisano i giudici di legittimità – comportano, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni fiscali. In mancanza, colui che subentra nelle quote e nella carica di amministratore si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possano derivare dalle precedenti inadempienze. Nel caso di specie, peraltro, non si trattava di un debito particolarmente remoto o nascosto, ma dell’IVA dovuta sulla base dell’ultima dichiarazione (presentata nello stesso anno) della quale sarebbe stato sufficiente chiederne visione, in uno con l’attestato di versamento. E, quindi, seppure il bilancio non avesse evidenziato l’esistenza di “debiti verso l’Erario”, il debito IVA sarebbe emerso dall’esame della relativa dichiarazione. Non è allora possibile parlare di addebito “colposo” perché le verifiche in questione erano molto semplici e coincidevano con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica di amministratore. In ogni caso, anche in assenza del suddetto elementare riscontro ci si troverebbe comunque di fronte ad un fatto-reato addebitabile a titolo di dolo eventuale, da ravvisare in capo a chi acquista quote di una società e ne diviene amministratore senza alcun previo controllo, di natura puramente documentale, almeno sugli ultimi adempimenti fiscali.
Si osserva, infine, come analoga rigidità si ritrovi nella sentenza 23 gennaio 2014 n. 3124, in materia di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del DLgs. 74/2000). Si afferma, infatti, che, in caso di fallimento della società pochi giorni dopo la scadenza del termine previsto per l’integrazione della fattispecie (termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta), non si ravvisa la causa di non punibilità della forza maggiore, in quanto le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non possono essere fatte rientrare in essa, che, diversamente, presuppone l’individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente. D’altra parte, nel caso di omesso versamento delle ritenute, l’insolvenza successiva non scrimina, dovendo il sostituto d’imposta ripartire le proprie risorse in modo da poter sempre adempiere l’obbligo tributario.
L’amministratore subentrato poco prima della scadenza del suddetto termine, previsto per l’integrazione della fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate, è responsabile del reato, avendo assunto l’incarico quando la società versava già in una situazione di crisi gravissima, con la conseguenza che la relativa omissione deve considerarsi il risultato di una consapevole decisione, soggettivamente riferibile all’amministratore quantomeno a titolo di dolo eventuale, dato che proprio la condizione iniziale della società di irreversibile indebitamento con gravissima mancanza di liquidità rendeva concreto il rischio di non poter adempiere il debito al momento prestabilito.