VIES non «indispensabile» per l’esenzione IVA
Dott. Alessio Pistone | 09/01/2014
Secondo la Corte di Giustizia UE, il non assoggettamento ad IVA delle cessioni intracomunitarie non può essere negato per il solo fatto che il cessionario sia privo un numero di identificazione IVA. Tali conclusioni, che per certi versi lasciano perplessi, comportano una serie di connesse e rilevanti conseguenze.
L’art. 138 della direttiva 2006/112/CE prevede che gli Stati membri esentino da IVA le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella UE, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni. Il soggetto acquirente deve essere individuato dagli Stati membri tramite un numero di identificazione IVA individuale (art. 214 della direttiva 2006/112/CE), la cui indicazione è obbligatoria sulla fattura emessa dal cedente nell’ambito dell’operazione di cessione intracomunitaria.
Allo stesso modo, nell’ordinamento nazionale si configura una cessione intracomunitaria allorché vengano ceduti a titolo oneroso beni spediti o trasportati (dal cedente italiano, dall’acquirente intracomunitario o da terzi per loro conto) nel territorio di un altro Stato membro ad acquirenti soggetti passivi d’imposta (art. 41 comma 1 del DL 331/93).
Oltre ai menzionati requisiti, nessun altro elemento può essere imposto al fine di qualificare un’operazione come cessione o acquisto intracomunitari di beni (sentenza del 27 settembre 2007, causa C-409/04).
Ciò premesso, i giudici della Corte UE hanno stabilito che la non imponibilità non può negarsi se il fornitore, una volta adottate tutte le misure che gli si possano ragionevolmente richiedere, non possa comunicare il numero di identificazione IVA dell’acquirente, ma fornisca comunque indicazioni idonee a dimostrare sufficientemente che, con riferimento all’operazione effettuata, l’acquirente è un soggetto passivo che agisce in quanto tale (sentenza del 27 settembre 2012, causa C-587/10). Pertanto, secondo la Corte, requisito essenziale delle cessioni intracomunitarie è la circostanza che il cessionario sia un soggetto passivo, mentre non è indispensabile il possesso di un numero di partita IVA rilasciato da uno Stato membro.
La Corte UE, infatti, pur riconoscendo che la questione dei mezzi di prova che possono essere forniti dai soggetti passivi per beneficiare dell’esenzione dall’IVA rientra nella competenza degli Stati membri, ritiene che non possa subordinarsi il diritto alla non applicazione dell’IVA di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma, senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali. In effetti, sebbene la partita IVA fornisca la prova dello status fiscale del soggetto passivo e agevoli il controllo delle operazioni intracomunitarie, lo stesso costituisce soltanto un requisito formale (sentenza del 6 settembre 2012, causa C-273/11).
La facoltà degli Stati membri di adottare provvedimenti diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, quindi, secondo la Corte non può eccedere quanto è necessario per conseguire siffatti obiettivi, mettendo in discussione il principio della neutralità dell’IVA. Quest’ultimo, infatti, esige che l’esenzione dall’IVA sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, nonostante certi requisiti formali siano stati omessi da parte dei soggetti passivi, salvo che la violazione di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti (sentenza del 27 settembre 2007, causa C-146/05). Tutto ciò, naturalmente, a patto che il fornitore dei beni non abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale.
Per gli stessi motivi, la Corte UE ha affermato che l’esenzione da IVA di una cessione intracomunitaria non può essere negata al venditore per il solo fatto che l’Amministrazione tributaria di un altro Stato membro abbia proceduto alla cancellazione del numero d’identificazione IVA dell’acquirente che, sebbene verificatasi dopo la cessione del bene, ha prodotto effetti, in modo retroattivo, a una data precedente a quest’ultima (sentenza del 6 settembre 2012, causa C-273/11).
L’interpretazione della Corte UE che scaturisce dalle sentenze in esame si scontra, tuttavia, con la prassi operativa, dal momento che, come noto, le forniture intracomunitarie di beni si realizzano solo dopo che il cedente abbia acquisito e verificato che il numero identificativo IVA del cessionario sia iscritto al VIES.
Tra l’altro, in apparente contraddizione con la presa di posizione della giurisprudenza comunitaria, sebbene ciò si riferisca solo agli scambi di servizi, il regolamento UE n. 282/2011 del 16 marzo 2011 prevede che il fornitore, salvo che possegga informazioni diverse, può considerare che il committente comunitario abbia lo status di soggetto passivo nel caso in cui quest’ultimo gli comunichi il numero identificativo e lo stesso abbia provveduto a verificare la corrispondenza del nome e dell’indirizzo comunicati, creando, pertanto, una relazione consequenziale tra numero identificativo IVA e soggettività passiva.
Al riguardo, ricordiamo che sul piano interno l’inclusione nell’archivio VIES dell’operatore nazionale costituisce un presupposto indispensabile per poter considerare l’operazione come intracomunitaria ai fini IVA, dal momento che essa attribuisce a tale operatore la soggettività attiva e passiva relativa alle operazioni intracomunitarie. Resta il fatto che, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE ora commentata, tale iscrizione diviene ininfluente, talché l’acquirente italiano con partita IVA non iscritto al VIES, in presenza di tutte le condizioni richieste dalla normativa per poter configurare una cessione intracomunitaria, dovrebbe comunque ricevere dal cedente comunitario una fattura senza IVA e provvedere poi ad annotarla in reverse charge.